Rifiuti: qualificazione come «sottoprodotto» e onere probatorio
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Rifiuti: qualificazione come «sottoprodotto» e onere probatorio
Segnaliamo una rilevante (e recente) pronuncia della Cassazione relativamente ai sottoprodotti ed alla importanza che riveste l’adozione di un idoneo strumento probatorio a dimostrazione del fatto che un sottoprodotto è tale e quindi non è un rifiuto.
Un tema, quest’ultimo, che prescinde dalla filiera produttiva e di valorizzazione.
Nello specifico, la Corte di Cassazione con la sentenza n. 11065/2022 si è pronunciata in relazione alla contravvenzione di «Attività di gestione di rifiuti non autorizzata» ex art. 256 c. 2 TUA; in particolare su chi incomba l’onere di provare che un determinato materiale debba essere qualificato come «sottoprodotto» e non invece come «rifiuto».
La difesa del ricorrente lamentava infatti che i materiali ferrosi rinvenuti dalla Guardia di Finanza fossero riconducibili alla categoria dei «sottoprodotti» essendo destinati al mercato del recupero dei rottami ferrosi.
La Corte tuttavia ha dichiarato inammissibile il ricorso in quanto ha ritenuto che le affermazioni difensive circa un eventuale riutilizzo dei beni rinvenuti fossero assertive.
Al riguardo i giudici del Supremo Collegio hanno infatti richiamato «la condivisa affermazione di questa Corte (Sez. 3, n. 3202 del 02/10/2014, dep. 2015, Rv. 262129 e Sez. 3, n. 16078 del 10/03/2015, Rv. 263336), secondo cui, in materia di gestione dei rifiuti, ai fini della qualificazione come sottoprodotto di sostanze e materiali incombe sull’interessato l’onere di fornire la prova che un determinato materiale sia destinato con certezza ed effettività, e non come mera eventualità, a un ulteriore utilizzo; in definitiva, venendo in rilievo una disciplina avente natura eccezionale e derogatoria rispetto a quella ordinaria, la dimostrazione della sussistenza delle condizioni previste per la sua operatività è a carico dell’imputato.
Tale onere probatorio non è stato adempiuto nel caso di specie per cui, alla luce degli accertamenti fattuali cristallizzati nelle sentenze di merito, rispetto ai quali non si ravvisano profili di travisamento del fatto, non vi è spazio per l’accoglimento delle doglianze difensive, formulate in termini non adeguatamente specifici.